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ANORESSIA E BULIMIA.

I disordini alimentari, di cui anoressia e bulimia nervosa sono le manifestazioni più note e frequenti, sono diventati nell’ultimo ventennio una vera e propria emergenza di salute mentale per gli effetti devastanti che hanno sulla salute e sulla vita di adolescenti e giovani adulti. Negli Stati Uniti, le associazioni mediche che si occupano di disordini alimentari non esitano a definirli una vera e propria epidemia che attraversa tutti gli strati sociali e le diverse etnie.

Se non trattati in tempi e con metodi adeguati, i disordini alimentari possono diventare una condizione permanente e nei casi gravi portare alla morte, che solitamente avviene per suicidio o per arresto cardiaco. Secondo la American Psychiatric Association, sono la prima causa di morte per malattia mentale nei paesi occidentali. Uno studio pubblicato sulla rivista inglese The Lancet indica che la ricerca sui trattamenti è molto più avanzata nel caso della bulimia nervosa, dove sono stati svolti più di cinquanta studi e trial e una gestione secondo pratiche basate sull’evidenza è possibile. Minore attenzione, invece, si sarebbe dedicata finora a ricerche sui possibili trattamenti di anoressia nervosa e delle altre forme di disordine alimentare.

Anoressia e bulimia sono malattie complesse, determinate da condizioni di disagio psicologico ed emotivo, che quindi richiedono un trattamento sia del problema alimentare in sé che della sua natura psichica. L’obiettivo è quello di portare il paziente, attraverso terapie mirate a modificare i comportamenti e l’attitudine, a adottare soluzioni di gestione dei propri stress emotivi che non siano dannose per la propria salute e a ristabilire un equilibrato comportamento alimentare. Possono manifestarsi in persone di diverse età, sesso, provenienza sociale, ma sono solitamente più comuni in giovani donne in età compresa tra i 15 e i 25 anni.

Da cosa nasce un disordine alimentare?
Al centro del disordine alimentare, che si manifesta come malattia complessa, risultante dall’interazione di molteplici fattori biologici, genetici, ambientali, sociali, psicologici e psichiatrici, c’è comunque da parte del paziente una ossessiva sopravvalutazione dell’importanza della propria forma fisica, del proprio peso e corpo e una necessità di stabilire un controllo su di esso.  Tra le ragioni che portano allo sviluppo di comportamenti anoressici e bulimici, si evidenziano, oltre a una componente di familiarità (studi transgenerazionali e sui gemelli hanno dimostrato che i disordini alimentari si manifestano con più probabilità tra i parenti di una persona già malata, soprattutto se si tratta della madre), l’influenza negativa da parte di altri componenti familiari e sociali, la sensazione di essere sottoposti a un eccesso di pressione e di aspettativa, o al contrario di essere fortemente trascurati dai propri genitori, il sentirsi oggetto di derisione per la propria forma fisica o di non poter raggiungere i risultati desiderati per problemi di peso e apparenza. Per alcune persone, si tratta di una tendenza autodistruttiva che le porta ad alterare il proprio comportamento alimentare o ad abusare di alcol o droghe.

L’anoressia e la bulimia però possono anche dipendere dal fatto che l’individuo subisca situazioni particolarmente traumatiche, come ad esempio violenze sessuali, drammi familiari, comportamenti abusivi da parte di familiari o di persone esterne, difficoltà ad essere accettati socialmente e nella propria famiglia. Uno dei motivi per cui una ragazza inizia a sottoporsi a una dieta eccessiva è la necessità di corrispondere a un canone estetico che premia la magrezza, anche nei suoi eccessi. Secondo molti psichiatri, infatti, l’attuale propensione a prediligere un modello di bellezza femminile che esalta la magrezza ha conseguenze devastanti sui comportamenti alimentari di molte adolescenti.

Effetti fisici e psicologici
Gli effetti dei disordini alimentari sono molto pesanti, sia sotto il profilo fisico che quello psicologico. Dal punto di vista fisico, gli effetti della malnutrizione comportano ulcere intestinali e danni permanenti ai tessuti dell’apparato digerente, disidratazione, danneggiamento di gengive e denti, seri danni cardiaci, al fegato e ai reni, problemi al sistema nervoso, con difficoltà di concentrazione e di memorizzazione, danni al sistema osseo, con accresciuta probabilità di fratture e di osteoporosi, blocco della crescita, emorragie interne, ipotermia e ghiandole ingrossate.
Le  ripercussioni psicologiche, invece, comportano depressione, basso livello di autostima, senso di vergogna e colpa, difficoltà a mantenere relazioni sociali e familiari, sbalzi di umore, tendenza a comportamenti manichei e maniacali, propensione al perfezionismo.

Sintomi e caratteristiche
I disordini alimentari comprendono numerose condizioni diverse. Le più note e comuni sono anoressia e bulimia nervosa.

Anoressia nervosa
Una persona diventa anoressica quando, riducendo o interrompendo la propria consueta alimentazione, scende sotto l’85% del peso normale per la propria età, sesso e altezza. L’anoressia è conseguente al rifiuto ad assumere cibo, determinato da una intensa paura di acquistare peso o diventare grassi, anche quando si è sottopeso. Spesso, una persona anoressica comincia con l’evitare tutti i cibi ritenuti grassi e a concentrarsi su alimenti ‘sani’ e poco calorici, con una attenzione ossessiva al contenuto calorico e alla composizione dei cibi e alla bilancia. Frequentemente i pasti vengono evitati o consumati con estrema lentezza, rimuginando a lungo su ogni boccone ingerito. Il corpo viene percepito e vissuto in modo alterato, con un eccesso di attenzione alla forma e con il rifiuto frequente ad ammettere la gravità della attuale condizione di sottopeso.

Diagnosticare l’anoressia non è sempre semplice in soggetti molto giovani, perché i cambiamenti fisici che accompagnano l’adolescenza e che comportano squilibri di peso e altezza possono mascherarne le prime fasi. Nei bambini, è più comune che l’anoressia si manifesti attraverso altri sintomi, come la nausea e il sentimento di non fame. Nelle ragazze, invece, uno dei sintomi più classici è l’interruzione del ciclo mestruale per almeno tre mesi successivi, sintomo che però non si applica a giovani adolescenti che ancora non abbiano avuto il menarca o, al contrario, alle ragazze che prendono la pillola anticoncezionale.

L’anoressia si manifesta in due modi:

· con restrizioni, determinata dalla riduzione costante della quantità di alimenti ingeriti.

· con abbuffate e successiva eliminazione: alimentazione compulsiva seguita da vomito autoindotto, uso inappropriato di pillole lassative e diuretiche, iper-attività fisica per perdere peso.

La persona anoressica diventa così ossessionata dal cibo che la propria vita finisce con l’essere totalmente incentrata sulla questione alimentare, impedendo di provare interesse e entusiasmo verso qualsiasi altra cosa.

Bulimia Nervosa
Una persona bulimica si abbuffa in modo molto diverso da quello che avviene quando normalmente si mangia troppo. Le caratteristiche tipiche del comportamento bulimico sono:

· ingestione di una quantità eccessiva di cibo, a volte per un totale di diverse migliaia di calorie, in un arco di tempo molto stretto, per esempio nel giro di due ore, e solitamente di nascosto da altri

· la sensazione di non poter smettere di mangiare e di non poter controllare il proprio comportamento

· l’abbuffata è preceduta e seguita da uno stress emotivo molto forte

Dopo aver mangiato in modo così eccessivo, la persona bulimica generalmente si sente in colpa e tende a punirsi vomitando, ingerendo pillole diuretiche e lassativi con l’intento di dimagrire. Se questo comportamento diventa ripetitivo, ad esempio si manifesta due volte alla settimana per tre mesi, si è di fronte a un chiaro segnale di disordine alimentare. Raramente, i pazienti bulimici non si infliggono alcuna punizione.
A lungo andare, un soggetto bulimico entra in una fase di depressione e di disgusto verso se stesso e cerca di occultare il proprio comportamento agli altri, anche se la propria forma e apparenza fisica finiscono con il diventare una ossessione permanente e con l’avere forti ripercussioni sulla propria autostima. Una persona bulimica può essere di peso normale, sottopeso o sovrappeso, diversamente da una anoressica che è sempre sotto peso. Inoltre, il peso di un soggetto bulimico può variare enormemente e oscillare, fatto che può essere utilizzato come sintomo dell’esistenza di un disordine alimentare.

Oltre all’anoressia e alla bulimia, esiste anche un genere di disordine alimentare non definito. Non tutti i casi sono infatti esattamente descrivibili nell’arco dei sintomi tipici di anoressia e bulimia. Alcuni soggetti, ad esempio, iniziano con una forma di anoressia ma poi, incapaci di mantenere il basso peso, scivolano verso comportamenti bulimici. Secondo l’American Psychiatric Association, la metà dei pazienti anoressici finiscono con l’avere anche sintomi di bulimia, e in qualche caso i pazienti bulimici sviluppano comportamenti anoressici.

Il caso di Denise chiama alla memoria la bimba scomparsa dal 1996

Ester e Anna Maria Cavani, primo giugno 2004, Modena. Francesco Bruno, 29 giugno 1999, Roma. Angela Celentano, 10 agosto 1996, Vico Equense, Napoli. Denise Pipitone, primo settembre 2004, Mazara del Vallo, Trapani. Sono solo alcuni dei nomi degli 890 bambini italiani e stranieri scomparsi nel nostro paese, secondo un dato del Viminale.

Le famiglie di questi bambini non smettono di cercare, tengono alta l’attenzione dei media con iniziative e grazie ad internet mostrano come sarebbero oggi questi bambini. Le notizie che si susseguono in queste ore sulla piccola ritrovata in Grecia che potrebbe essere Denise, richiamano alla memoria la storia di Angela Celentano. L’11 giugno in occasione del 15° compleanno i genitori di Angela hanno lanciato in aria 4321 palloncini, tanti quanti i giorni di assenza della piccola da casa.

La mattina del 10 Agosto del ’96, Angela, 3 anni, con i genitori ed altre 40 persone, è alla gita annuale al Monte Faito organizzata dalla Comunità Evangelica. Poco dopo le 11, il padre, un operaio, si accorge che la figlia non è più lì intorno a giocare.

Un bimbo di 11 anni, Renato, racconta di essere sceso poco prima assieme ad Angela, per il sentiero che porta al parcheggio, per posare in macchina il suo pallone. Ha pregato Angela di non seguirlo, ma la bambina non si è lasciata convincere. A metà discesa il sentiero si incrocia con un altro trasversale: qui Renato ha ripetuto ad Angela di tornare indietro dalla mamma, quindi ha continuato da solo la sua discesa. Lasciata la palla in macchina è tornato verso il resto della comunità senza incontrare nessuno.

Tutti i presenti iniziano a cercare Angela. Nella zona ci sono molti gitanti, ma nessuno sembra averla vista. I genitori non Lasciano il luogo della scomparsa e nel frattempo intervengono i carabinieri, la guardia di finanza, la polizia,l’esercito, unità cinofile ed elicotteri, sotto la direzione della Prefettura di Napoli.

Gli inquirenti capiscono che Angela non è più in quella zona. I carabinieri ascoltano le testimonianzae e guardano le immagini del filmato girato poco prima della scomparsa. Arrivano molte segnalazioni quasi tutte anonime, vengono perquisite case e ville della zona. Il 19 Agosto arriva a casa di Angela una telefonata in cui si sente solo un pianto disperato di bambina.

Un misterioso testimone invita a ricercare il perchè di questa scomparsa nella Comunità Evangelica. Un mese dopo i carabinieri vengono a sapere che un altro bambino, Luca di 12 anni, ha incontrato quel giorno Renato assieme ad Angela mentre risaliva il sentiero. Luca dice di aver invitato l’amichetto a riportare la bambina alla madre, offrendosi lui stesso di farlo. Renato non gli avrebbe dato ascolto, ed avrebbe continuato a scendere con Angela verso il parcheggio.

Luca sostiene di non aver mai raccontato questo particolare perché tutti sapevano che l’ultimo ad aver visto la bambina era stato proprio Renato. La versione di Renato contrasta con quanto dice Luca, per questo i due bambini sono stati messi a confronto ed interrogati separatamente alla presenza dei magistrati, ma alla fine le loro posizioni sono rimaste le stesse e sempre contrastanti.

A febbraio scorso è arrivata la segnalazione di una bambina che poteva essere Angela, ritrovata in un campo rom nel napoletano, ma gli esami del dna hanno dato esito negativo. La scomparsa di Angela ancora oggi è un mistero.

Sono 775 i minori, accompagnati e non, giunti a Lampedusa nei mesi di maggio, giugno e luglio*, pari all’8,5% del totale dei migranti arrivati in questo periodo e che, al 31 luglio, ammontavano a 8954.

Tra i ragazzi approdati sull’isola, dopo viaggi spesso al limite della sopportazione, ben 635, pari a quasi l’82%, sono “non accompagnati”, sono cioè arrivati da soli, viaggiando senza l’assistenza dei propri genitori o familiari.

Questi alcuni dei dati diffusi oggi da Save the Children, a oltre tre mesi dall’avvio della propria attività in seno a Praesidium III,  il progetto coordinato dal Ministero dell’Interno e in collaborazione con UNHCR, IOM e Croce Rossa.

L’organizzazione internazionale per la difesa e promozione dei diritti dell’infanzia, opera all’interno del Centro Soccorso e Prima Accoglienza (Cspa) dell’isola al fine di consolidare procedure chiare per l’identificazione dei minori, inclusi quelli particolarmente vulnerabili, le vittime di tratta e i richiedenti asilo, contribuire al miglioramento degli standard di accoglienza e protezione, nonché fornire informazioni sui loro diritti.

L’arrivo dell’estate agevola gli sbarchi e un conseguente aumento esponenziale degli arrivi di minori, passati dai 174 di maggio, ai 228 di giugno, per arrivare a ben 373 a luglio.

“Nell’ultimo periodo il centro, che è atto ad ospitare un massimo di 762 persone, è arrivato ad accogliere più di 1600 migranti e più di 130 minori non accompagnati. In queste situazioni, nonostante l’impegno dei diversi attori coinvolti, le condizioni di vita e l’accesso ai servizi all’interno del centro diventano spesso critiche”,  spiega da Lampedusa Carlotta Bellini, Coordinatrice dell’area Protezione di Save the Children Italia.

“Le condizioni di sovraffollamento e l’esigenza di gestire i flussi d’ ingresso non devono pregiudicare i diritti e le garanzie riconosciute a particolari categorie di migranti, come i minori. E’ cioè essenziale che tutti siano informati dei loro diritti prima di procedere al trasferimento nelle strutture di accoglienza, e che vi sia l’opportunità di segnalare alle istituzioni competenti casi di erronee registrazioni dell’età anagrafica, prima che vengano adottati provvedimenti lesivi dei diritti dei minori”.

Dei minori arrivati a Lampedusa nel periodo di riferimento, la maggior parte proviene da Eritrea(19%); Somalia (17,1%); Nigeria (16,8%), ma anche Palestina (12, 6%), Ghana (12,5%), Togo (3,5%),  e Sudan (1, 3%).

“Alcuni minori arrivano in Italia da zone di crisi, come la Somalia, l’Eritrea, la Nigeria o il Sudan e sono costretti a fuggire dalle loro case e dai loro affetti a causa di guerre, disordini generalizzati o persecuzioni personali. Altri arrivano in cerca di una migliore condizione di vita, con la speranza di studiare e lavorare nel nostro paese”, continua Carlotta Bellini. “L’obiettivo di Save the Children è assicurare che i minori siano innanzitutto identificati come tali e che quindi vengano avviati correttamente i percorsi di tutela, accoglienza e protezione previsti dalle disposizioni internazionali e nazionali.”

Gli operatori di Save the Children a Lampedusa intervengono nella fase immediatamente successiva all’arrivo sull’isola durante la quale i migranti e, in particolare i minori, sono stanchi, spaventati,  forniscono spesso generalità non corrette e si dichiarano perfino maggiorenni con la convinzione che questo li possa aiutare ad avere una maggiore possibilità di lavorare e di essere liberi sul territorio. Quest’ultimo elemento rischia di pregiudicare fortemente l’intero percorso del minore sul territorio e l’accesso alle garanzie previste dalla legge.

Gli operatori dell’Organizzazione non sono presenti solo nel all’interno del Cspa di Lampedusa, ma anche sul territorio siciliano per garantire un monitoraggio degli standard di accoglienza e rispetto dei diritti all’interno delle comunità di accoglienza per minori e centri per immigrati presenti in Sicilia,  nonché rafforzare la capacità di soggetti, pubblici e privati, di tutelare e supportare i minori migranti.

“Attraverso la collaborazione con i soggetti competenti nella definizione e avvio di un percorso di tutela e inserimento del minore sul territorio”, spiega ancora Carlotta Bellini, “è possibile evitare o ridurre le fughe dei minori dalle strutture stesse, e contestualmente  il rischio che essi possano cadere in circuiti di sfruttamento”.

*Fonte: rilevazioni di Save the Children nel Cspa di Lampedusa nel periodo che va dall’1 maggio al 31 luglio 2008

La storia di Alin**
Alin, un giovane ragazzo proveniente dal Togo, è arrivato a Lampedusa verso la fine del mese di giugno, a seguito di un grosso sbarco. Al momento dell’identificazione, Alin ha dichiarato di essere maggiorenne: pensava che così avrebbe potuto trovare lavoro più facilmente e che non sarebbe stato trattenuto. Gli operatori di Save the Children lo hanno incontrato nell’area di trattenimento riservata agli adulti e, dopo un lungo colloquio, Alin ha raccontato loro di essere minorenne.
Il team ha allora presentato un’istanza all’ufficio immigrazione per chiedere che venisse riconosciuto come minore. L’ufficio immigrazione ha disposto l’accertamento medico dell’età, a seguito del quale, le dichiarazioni del ragazzo sono state confermate e lui è stato riconosciuto minorenne.

RIFLETTO.

Ogni bambino dovrebbe essere messo in grado di sviluppare i propri talenti: è il compito primario dei genitori e, in un secondo momento, della scuola.

Perché un neonato guarda affascinato la mamma e poi distoglie bruscamente lo sguardo? Che cosa vede quando fissa intensamente un punto luminoso? In che modo capisce poco alla volta di essere ‘separato’ dal mondo che lo circonda? Tutti i genitori vorrebbero sapere che cosa ‘pensa’, come vede il mondo, il loro bambino appena nato.

Perché con i nostri figli abbiamo gli stessi comportamenti che da bambini ci hanno fatto soffrire? Come possiamo liberarci dai ricordi e dai vincoli del passato che continuano a imprigionarci nel presente?

La denuncia dell’Associazione Contribuenti Italiani. Poveri pensionati proprietari anche di auto di lusso e polizze assicurative

In passato possedere una barca privata, meglio ancora uno yacth era un segnale inequivocabile di ricchezza. Ora a permettersele sono anche pensionati e squattrinati. Miracoli della ripresa economica? No, semplice evasione fiscale. A denunciare l’ennesimo caso di “ricchi nullatenti” è  l’Associazione dei contribuenti che con il suo Sportello del Contribuente rileva costantemente il fenomeno dell’evasione fiscale in Italia. E le sorprese non mancano.

“Il 58% degli yacht di lusso, sofisticate barche a vela e automezzi di grossa cilindrata sono intestati a prestanome di imprenditori e facoltosi, per non pagare le tasse” ha spiegato l’associazione. Secondo la sua recente stima, che fa riferimento all’anno d’imposta 2005, 10 milioni di italiani guadagnano meno di 6mila euro all’anno. Degli altri 29,9 milioni di contribuenti, solo lo 0,61% avrebbe un reddito annuo superiore ai 100mila euro, e solo uno 0.12% superiore addirittura ai 200mila euro all’anno.
Ma i pezzi del puzzle non combaciano tra loro. Nello stesso periodo in Italia sono state immatricolate 140mila vetture tra fuoristrada e auto di lusso e a 19mila italiani sarebbero state rilasciate altrettante patenti nautiche.
. È necessaria un’illuminante politica di collaborazione con le associazioni rappresentative dei contribuenti che operano da tempo sul fronte della tax compliance, generando un’autentica cultura antievasione”.

I dati diffusi dall’associazione sono del resto confermate dalle indagini della Guardia di Finanza.L’ultimo caso eclatante di “ricco nullatenente” è stato registrato l’8 agosto: lo spiantato, oltre a essere proprietario di uno yacht, aveva anche numerosi beni immobili, tre autovetture e diverse polizze di assicurazione con premio annuale. Un copione già visto a giugno, quando è scattata la denuncia al Fisco per un centinaio di persone in situazioni analoghe.

SULL’ ENERGIA ALTERNATIVA.


UNA BARRIERA ANTI RUMORE SULL’AUTOSTRADA FORMATA DA PANNELLI SOLARI.

Una barriera fonoassorbente lungo l’autostrada che protegge le abitazioni dal rumore e che è in grado di generare energia elettrica pulita dal sole.

Esiste in Australia, su un tratto del Tullamarine Calder Interchange, e si è appena guadagnata un premio alla conferenza Clean Energy Council Atraa.

Si ritiene che la barriera solare antirumore sia la prima al mondo – anche se tempo fa se ne era parlato concretamente anche in Italia.

Comunque il progetto autrasliano prevede 500 metri di pannelli fotovoltaici inclinati verticalmente, in grado di generare fino a 25 kW ora di elettricità. La densità dei pannelli protegge dal rumore le abitazioni situate lungo l’autostrada.

L’energia prodotta viene immessa nella rete elettrica locale. I relativi dati vengono inviati ad uno schermo pubblico situato ad un chilometro di distanza.

Oltre che per l’idea nuova, la barriera antirumore formata dai pannelli solari è stata premiata anche per l’eccellente design.

Come si dice? La necessità aguzza l’ingegno. E’ proprio il caso di usare questa espressione riferendosi al cinese Ma Yanjun. Il solare termico costa troppo? Nessun problema, Ma ha ideato un sistema per fornire acqua calda all’appartamento della madre e l’ha fatto utilizzando 66 bottiglie di birra montate su una tavola. Ogni bottiglia è collegata all’altra attraverso un tubicino di plastica all’interno del quale passa l’acqua che viene riscaldata dal sole. Secondo l’inventore il sistema permette a tutti e tre gli abitanti della casa di avere una doccia calda al giorno, e sembra che almeno una decina di vicini nel villaggio stiano seguendo l’esempio di Ma.

SUL BULLISMO.

Se oggi i giovani appaiono più violenti di un tempo e in età più precoce ciò non dipende dalla natura umana, che è sempre la stessa; ma dall’ambiente in cui vivono e crescono, dal tipo di educazione che ricevono e che non ricevono negli anni formativi della crescita. Certamente un neonato del ventunesimo secolo non nasce più violento di un neonato del diciottesimo secolo: all’origine entranbi sono potenzialmente violenti, ancora incapaci di tollerare il dolore, di gestire le frustrazioni, di reagire alla paura in modi efficaci. Il punto cruciale è un’altro: se cioè ha un senso abbandonare bambini e ragazzi ai propri impulsi e non piuttosto dar loro dei validi strumenti cognitivi, emotivi, culturali per riconoscerli e amministrarli.

In Italia sono quasi mille i bambini e adolescenti coinvolti nello sfruttamento sessuale, in attivita’ illegali, mendicita’, lavoro coatto, adozioni irregolari e, si presume, nel traffico di organi. I dati parlano di 54.559 vittime della tratta, solo nel nostro Paese, che hanno ricevuto assistenza e protezione fra il 2000 e il 2007: Nigeria e Romania sono le nazioni principali di provenienza ma flussi piu’ o meno consistenti interessano Moldova, Albania, Ucraina, Russia, Bulgaria. “Numeri rilevanti eppure sottostimati”, ha sottolineato Carlotta Bellini, coordinatrice dell’Area protezione di Save the Children Italia, “molti minori sfruttati rimangono ‘invisibili’, sia per le caratteristiche della tratta – fenomeno criminale e quindi occulto – sia per le mutevoli e sofisticate strategie messe in atto dagli sfruttatori”. Il risultato, ha continuato, “e’ che in tanti restano privi di protezione, aiuto e assistenza”. Bambini e adolescenti di entrambi i sessi, anche di 11-12 anni, spesso provenienti dalla Romania e da altri Paesi dell’Est Europa, dall’Africa (Nigeria, Gabon, Camerun) e dall’Asia (India, Bangladesh).
Le poche informazioni a disposizione evidenziano fenomeni di grave sfruttamento ai danni di adolescenti originari da India, Bangladesh e Africa del Nord e sub-sahariana, impiegati soprattutto nell’allevamento di bestiame e in agricoltura, costretti dai loro sfruttatori, i cosiddetti ‘caporali’, a lavorare tantissime ore per paghe irrisorie, a vivere isolati e nell’impossibilita’ di chiedere aiuto e sfuggire alla loro condizione di semi-schiavitu’. I minori africani raggiungono l’Italia via terra dopo essere approdati in Spagna o, piu’ raramente, via mare sbarcando a Lampedusa e in Sicilia. “In Italia i bambini e adolescenti sfruttati possono contare su buone leggi e sulla rete di programmi in loro sostegno”, ha aggiunto Carlotta Bellini, “che pero’ debbono essere meglio calibrati sulle specifiche esigenze dei minori”. In primo luogo, “bisogna migliorare ed estendere gli interventi di contatto attraverso anche l’impiego di equipe di strada o operatori ‘alla pari’. Inoltre, occorrono “piu’ impegno e risorse” nell’identificazione delle vittime, “che a volte non vengono riconosciute come tali ma considerate dedite ad attivita’ criminali”.
“Infine”, auspichiamo che il governo sviluppi e implementi quanto prima un piano nazionale e che proceda alla ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani. Nel mondo si stimano 2,7 milioni di vittime della tratta, di cui l’80 per cento e’ costituito da donne e bambini. Un vero e proprio business con un volume di affari, gestito da reti criminali transnazionali, pari a circa 32 miliardi di dollari l’anno e paragonabile a quello del traffico di armi o di stupefacenti.

I contenitori trasparenti rosicchiano un milione e mezzo di barili di greggio l’anno.

Quando i nostri nipoti ci chiederanno cosa facevamo mentre il petrolio si stava esaurendo dovremo ammettere che eravamo impegnati a cercare i modi più fantasiosi per sprecarlo, dalla produzione di neve artificiale per i giochi invernali all’impiego dei camion leggeri – i famigerati Suv – per andare a fare la spesa. In pool position fra i comportamenti più demenziali spicca, senza dubbio, l’innamoramento planetario per l’acqua imbottigliata il cui consumo è salito del 57 per cento negli ultimi cinque anni. Una moda che piace ai governi perché li dispensa dal bonificare le forniture idriche, che restano appannaggio dei poveracci, operazione per la quale si spende infatti un settimo dei 100 miliardi di dollari buttati in acqua minerale. Cosa c’entra l’acqua con il petrolio lo spiega molto bene un rapporto dell’Earth Policy Institute di Washington nel quale, fra le altre cose, compaiono le prime stime del costo energetico dell’ubriacatura da minerale.

Viene fuori che l’acqua in bottiglia – nel 40 per cento dei casi semplice acqua di rubinetto con l’aggiunta di qualche sale minerale – rosicchia circa un milione e mezzo di barili di greggio ogni anno soltanto per produrre delle bottiglie di plastica che ci metteranno circa 1000 anni a biodegradarsi, quasi tutte utilizzate una sola volta. Ora, considerando che con un milione e mezzo di barili si mandano avanti 100 mila automobili per un anno, siamo nel campo di quegli inesplicabili comportamenti che spingono alcune specie come i lemming, piccoli roditori simili a criceti, a suicidarsi gettandosi in massa dalle scogliere.
Non si spiega altrimenti una scelta demenziale da ogni punto di vista.

Secondo gli organismi internazionali che si occupano di salute l’acqua in bottiglia prodotta dai grandi marchi dell’imbottigliamento – Nestlè, Danone, Coca Cola e PepsiCola, tanto per non fare nomi – spesso non è affatto più salubre anche se costa la bellezza di diecimila volte di più di quella del rubinetto ed il suo consumo è decisamente inspiegabile in paesi come l’Italia, che dispongono di una riserva idrica di qualità eccellente. Il guaio è che la diffusione dell’acqua in bottiglia ha buon gioco in paesi come l’India e la Cina , dove la potabile è ancora un lusso che i governi non riescono a garantire. Il che, oltre al greggio impiegato per fabbricare le bottiglie, aggiunge un altro po’ di sprechi per il trasporto e infine lo stoccaggio di un’enorme quantità di rifiuti. La cosa divertente – si fa per dire – è che l’alternativa c’è da parecchio tempo e, almeno nei paesi industrializzati, può contare su di un sistema articolato e capillare – gli acquedotti – che presenta anche il vantaggio di essere facilmente monitorabile. In questo, come in altri numerosi casi, l’idolatrata modernizzazione va all’indietro, mentre un esercito di consumatori rincoglioniti da una valanga di spot buttano via i soldi con la benedizione dei decisori politici che guardano soltanto al Pil – quella dell’imbottigliamento è un’industria che tira – e, da più di trent’anni, confezionano normative che privilegiano le minerali rispetto alla vituperata “acqua del sindaco”.