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SULL ANTISEMITISMO

Io trovo vergognoso che in Italia si faccia un corteo di individui che vestiti da kamikaze berciano infami ingiurie a Israele, alzano fotografie di capi israeliani sulla cui fronte hanno disegnato una svastica, incitano il popolo a odiare gli ebrei. E che pur di rivedere gli ebrei nei campi di sterminio, nelle camere a gas, nei forni crematori di Dachau e di Mauthausen e di Buchenwald e di Bergen‑Belsen eccetera, venderebbero a un harem la propria madre.

Io trovo vergognoso che la Chiesa Cattolica permetta a un vescovo, peraltro alloggiato in Vaticano, uno stinco di santo che a Gerusalemme venne trovato con un arsenale di armi ed esplosivi nascosti in speciali scomparti della sua sacra Mercedes, di partecipare a quel corteo e piazzarsi a un microfono per ringraziare in nome di Dio i kamikaze che massacrano gli ebrei nelle pizzerie e nei supermarket. Chiamarli «martiri che vanno alla morte come a una festa».

Io trovo vergognoso che in Francia, la Francia del Liberté‑Egalité‑Fraternité, si brucino le sinagoghe, si terrorizzino gli ebrei, si profanino i loro cimiteri. Trovo vergognoso che in Olanda e in Germania e in Danimarca i giovani sfoggino il kaffiah come gli avanguardisti di Mussolini sfoggiavano il bastone e il distintivo fascista. Trovo vergognoso che in quasi tutte le università europee gli studenti palestinesi spadroneggino e alimentino l’antisemitismo. Che in Svezia abbiano chiesto di ritirare il Premio Nobel per la Pace concesso a Shimon Peres nel 1994, e concentrarlo sulla colomba col ramoscello d’olivo in bocca cioè su Arafat. Trovo vergognoso che gli esimi membri del Comitato, un Comitato che (a quanto pare) anziché il merito premia il colore politico, abbiano preso in considerazione la richiesta e pensino di esaudirla. All’inferno il Premio Nobel e onore a chi non lo riceve.

Io trovo vergognoso (siamo di nuovo in Italia) che le Televisioni di Stato contribuiscano al risorto antisemitismo piangendo solo sui morti palestinesi, facendo la tara ai morti israeliani, parlando in modo sbrigativo e spesso in tono svogliato di loro. Trovo vergognoso che nei loro dibattiti ospitino con tanta deferenza i mascalzoni col turbante o col kaffiah che ieri inneggiavano alla strage di New York e oggi inneggiano alle stragi di Gerusalemme, di Haifa, di Netanya, di Tel Aviv. Trovo vergognoso che la stampa scritta faccia lo stesso, che si indigni perché a Betlemme i carri armati israeliani circondano la Chiesa della Natività, che non si indigni perché nella medesima chiesa duecento terroristi palestinesi ben forniti di mitra e munizioni ed esplosivi (tra loro vari capi di Hamas e Al‑Aqsa) siano non sgraditi ospiti dei frati (che poi dai militari dei carri armati accettano le bottiglie d’acqua minerale e il cestino di mele). Trovo vergognoso che dando il numero degli israeliani morti dall’inizio della Seconda Intifada, (quattrocentododici), un noto quotidiano abbia ritenuto giusto sottolineare a gran lettere che nei loro incidenti stradali ne muoiono di più. (Seicento all’anno).

Io trovo vergognoso che l’Osservatore Romano cioè il giornale del Papa, un Papa che non molto tempo fa lasciò nel Muro del Pianto una lettera di scuse per gli ebrei, accusi di sterminio un popolo sterminato a milioni dai cristiani. Dagli europei. Trovo vergognoso che ai sopravvissuti di quel popolo (gente che ha ancora il numero tatuato sul braccio) quel giornale neghi il diritto di reagire, difendersi, non farsi sterminare di nuovo. Trovo vergognoso che in nome di Gesù Cristo (un ebreo senza il quale oggi sarebbero tutti disoccupati) i preti delle nostre parrocchie o Centri Sociali o quel che sono amoreggino con gli assassini di chi a Gerusalemme non può recarsi a mangiar la pizza o a comprar le uova senza saltare in aria. Trovo vergognoso che essi stiano dalla parte dei medesimi che inaugurarono il terrorismo ammazzandoci sugli aerei, negli aeroporti, alle Olimpiadi, e che oggi si divertono ad ammazzare i giornalisti occidentali. A fucilarli, a rapirli, a tagliargli la gola, a decapitarli. (Dopo l’uscita de La Rabbia e l’Orgoglio qualcuno in Italia vorrebbe farlo anche a me. Citando versi del Corano esorta i suoi «fratelli» delle moschee e delle Comunità Islamiche a castigarmi in nome di Allah. A uccidermi. Anzi a morire con me. Poiché è un tipo che conosce bene l’inglese, in inglese gli rispondo: «Fuck you»).

Io trovo vergognoso che quasi tutta la sinistra, quella sinistra che venti anni fa permise un suo corteo sindacale di deporre una bara (quale mafioso avvertimento) dinanzi alla sinagoga di Roma, dimentichi il contributo dato dagli ebrei alla lotta antifascista. Da Carlo e Nello Rosselli, per esempio, da Leone Ginzburg, da Umberto Terracini, da Leo Valiani, da Emilio Sereni, dalle donne come la mia amica Anna Maria Enriques Agnoletti fucilata a Firenze il 12 giugno 1944, dai settantacinque dei trecentotrentacinque uccisi alle Fosse Ardeatine, dagli infiniti altri morti sotto le torture o in combattimento o dinanzi ai plotoni d’esecuzione. (I compagni, i maestri, della mia infanzia e della mia prima giovinezza). Trovo vergognoso che anche per colpa della sinistra anzi soprattutto per colpa della sinistra (pensa alla sinistra che inaugura i suoi congressi applaudendo il rappresentante dell’OLP, in Italia il capo dei palestinesi che vogliono la distruzione di Israele) gli ebrei delle città italiane abbiano di nuovo paura. E nelle città francesi e olandesi e danesi e tedesche, lo stesso. Trovo vergognoso che al passaggio dei mascalzoni vestiti da kamikaze tremino come a Berlino tremavano la Notte dei Cristalli cioè la notte in cui Hitler avviò la Caccia all’Ebreo.

Io trovo vergognoso che obbedendo alla stupida, vile, disonesta, e per loro vantaggiosissima moda del Politically Correct i soliti opportunisti anzi i soliti parassiti sfruttino la parola Pace. Che in nome della parola Pace, ormai più sputtanata delle parole Amore e Umanità, assolvano da una parte sola l’odio e la bestialità. Che in nome d’un pacifismo (leggi conformismo) delegato ai grilli canterini e ai giullari che prima leccavano i piedi a Pol Pot aizzino la gente confusa o ingenua o intimidita. Che la imbroglino, la corrompano, la riportino indietro di mezzo secolo cioè alla stella gialla sul cappotto. Questi ciarlatani ai quali dei palestinesi importa quanto a me importa di loro. Cioè nulla.

Io trovo vergognoso che tanti italiani e tanti europei abbiano scelto come vessillo il signor (si fa così per dire) Arafat. Questa nullità che grazie ai soldi della Famiglia Reale Saudita fa il Mussolini ad perpetuum e che nella sua megalomania crede di passare alla Storia come il George Washington della Palestina. Questo sgrammaticato che quando lo intervisti non riesce nemmeno a compilare una frase completa, un discorso articolato. Sicché per ricomporre il tutto, scriverlo, pubblicarlo, duri una fatica tremenda e concludi che paragonato a lui perfino Gheddafi diventa Leonardo da Vinci. Questo falso guerriero che va sempre in uniforme come Pinochet, mai che indossi un abito civile, e che tuttavia non ha mai partecipato ad una battaglia. La guerra la fa fare, l’ha sempre fatta fare, agli altri. Cioè ai poveracci che credono in lui. Questo pomposo incapace che recitando la parte del Capo di Stato ha fatto fallire i negoziati di Camp David, la mediazione di Clinton. No‑no‑Gerusalemme‑la‑voglio­tutta‑per‑me. Questo eterno bugiardo che ha uno sprazzo di sincerità soltanto quando (en privé) nega a Israele il diritto di esistere, e che come dico nel mio libro si smentisce ogni cinque secondi. Fa sempre il doppio gioco, mente perfino se gli chiedi che ora è, sicché di lui non puoi fidarti mai. Mai! Da lui finisci sistematicamente tradito. Questo eterno terrorista che sa fare solo il terrorista (stando al sicuro) e che negli Anni Settanta cioè quando lo intervistai addestrava pure i terroristi della Baader‑Meinhof. Con loro, i bambini di dieci anni. Poveri bambini. (Ora li addestra per farne kamikaze. Cento baby‑kamikaze sono in cantiere: cento!). Questa banderuola che la moglie la tiene a Parigi, servita e riverita come una regina, e che il suo popolo lo tiene nella merda. Dalla merda lo toglie soltanto per mandarlo a morire, a uccidere e a morire, come le diciottenni che per meritarsi l’uguaglianza con gli uomini devono imbottirsi d’esplosivo e disintegrarsi con le loro vittime. Eppure tanti italiani lo amano, sì. Proprio come amavano Mussolini. Tanti altri europei, lo stesso.

Lo trovo vergognoso e vedo in tutto ciò il sorgere d’un nuovo fascismo, d’un nuovo nazismo. Un fascismo, un nazismo, tanto più bieco e ributtante in quanto condotto e nutrito da quelli che ipocritamente fanno i buonisti, i progressisti, i comunisti, i pacifisti, i cattolici anzi i cristiani, e che hanno la sfacciataggine di chiamare guerrafondaio chi come me grida la verità. Lo vedo, sì, e dico ciò che segue. Io col tragico e shakespeariano Sharon non sono mai stata tenera. «Lo so che è venuta ad aggiungere uno scalpo alla sua collana» mormorò quasi con tristezza quando andai a intervistarlo nel 1982). Con gli israeliani ho litigato spesso, di brutto, e in passato i palestinesi li ho difesi parecchio. Forse più di quanto meritassero. Però sto con Israele, sto con gli ebrei. Ci sto come ci stavo da ragazzina cioè al tempo in cui combattevo con loro, e le Anne Marie morivano fucilate. Difendo il loro diritto ad esistere, a difendersi, a non farsi sterminare una seconda volta. E disgustata dall’antisemitismo di tanti italiani, di tanti europei, mi vergogno di questa vergogna che disonora il mio Paese e l’Europa. Nel migliore dei casi, non una comunità di Stati ma un pozzo di Ponzi Pilato. Ed anche se tutti gli abitanti di questo pianeta la pensassero in modo diverso, io continuerò a pensarla così.

Ogni anno milioni di bambini restano senza istruzione nell’Europa centro-orientale e nella Comunità degli Stati Indipendenti.

Nonostante la ripresa economica e l’aumento della spesa pubblica per l’istruzione registrate negli ultimi 10 anni in molti paesi dell’area, un nuovo rapporto dell’UNICEF “Education for some, more than others” lancia l’allarme sulla difficoltà dei sistemi scolastici nazionali a garantire l’istruzione universale.

Un indicatore fondamentale di questi fallimenti sistematici è che oltre 2,4 milioni di bambini in età d’istruzione primaria, che dovrebbero essere a scuola, mancano all’appello.

A questi si sommano altri 12 milioni di bambini che non hanno accesso alla scuola secondaria.

Ciò significa che, ogni anno, oltre 14 milioni di bambini passano alla vita adulta privi di alcun tipo di istruzione o diploma scolastico, in una regione in passato famosa per gli alti livelli d’accesso ad un’istruzione egualitaria e di qualità.

«Questa situazione innescherà un ciclo intergenerazionale di povertà, minando la capacità dei governi di sviluppare economie competitive a livello globale, fondate sul lavoro qualificato invece che su manodopera a basso costo»


Il rapporto rileva che la distribuzione della spesa pubblica per l’istruzione ha accentuato invece che contrastare le disparità sociali, etniche ed economiche nell’accesso e nel completamento dell’istruzione di base, mentre la situazione familiare – in particolare il reddito, ma anche l’istruzione dei genitori – è divenuta progressivamente determinante per l’iscrizione e la frequenza scolastica, soprattutto a livello prescolare.

Armenia, Georgia, Kirghizistan, Moldavia e Tagikistan, paesi con bassi indicatori economici, registrano i tassi più bassi nella frequenza scolastica: meno del 50% nella scuola secondaria superiore e, in alcuni casi, meno del 30% nella scuola materna.

La situazione dei bambini rom e l’uguaglianza di genere. Nei 3 dei paesi con le più vaste comunità rom – Bulgaria, Ungheria e Romania – solo una piccolissima percentuale di bambini rom continua gli studi dopo la scuola primaria.

Il rapporto evidenzia inoltre che, sebbene nessun paese raggiunga l’uguaglianza di bambini e bambine nell’istruzione di base, il rapporto tra i due sessi risulta comunque vicino, con una media di 95 bambine contro 100 bambini.

Ma l’aspetto più rilevante è, nell’intera regione, la presenza femminile nella scuola superiore.

Il numero di bambine ha superato quello dei bambini, in alcuni casi in modo significativo, in tutti i paesi, eccezion fatta per Tagikistan, Uzbekistan, Turchia e Azerbaigian.

Solo Turchia e Tagikistan registrano ritardi nel raggiungimento dell’Obiettivo di Sviluppo del Millennio concernente l’eliminazione della disuguaglianza di genere entro il 2015 in tutti i livelli d’istruzione.

Lo studio rileva che sebbene siano state avviate riforme nei sistemi di istruzione dei vari paesi, queste non sono arrivate nelle aule scolastiche, con una ricaduta sulla generale qualità dell’istruzione, specialmente nelle zone rurali e nelle aree più povere.

«Ciò incide a sua volta sulla domanda d’istruzione, che risulta in calo tra le famiglie più svantaggiate per la scarsa qualità dei servizi offerti; sulla rilevanza dei programmi scolastici per il mercato del lavoro; sull’esiguo proseguimento degli studi secondari superiori e sulla scarsa percezione dei benefici che derivano dall’istruzione»

Il rapporto ammonisce che, nella regione, sarà impossibile conseguire l’istruzione per tutti e il relativo Obiettivo di Sviluppo del Millennio, se permarrà la situazione registrata dallo studio, e dunque chiede ai governi di destinare all’istruzione almeno il 6% del PNL, contro l’attuale media regionale del 3-4%; di adottare una distribuzione della spesa pubblica che contrasti le disuguaglianze, anziché accentuarle; di adottare misure atte a garantire l’istruzione per tutti.

Il Malawi è tra i Paesi con il più alto livello d’indebitamento con l’estero. Una piccola striscia di terra circondata da Mozambico, Tanzania, Zambia e Zimbabwe dove le strade di polvere rossa con la pioggia si trasformano in fango e melma. Non ha sbocchi sul mare ma un vasto lago, il terzo più grande dell’Africa, che copre circa un quinto della superficie del Paese e con i riflessi del sole si inonda di ‘lingue di fuoco’. Ex colonia inglese diventata stato indipendente nel 1964 è recentemente balzata alla cronaca per l’adozione-blitz della rockstar Madonna, ha una popolazione di 12 milioni di abitanti, di cui il 65% vive sotto la soglia della povertà. La vita media non supera i 40 anni e chi invecchia è accusato di stregoneria perché assorbe, per vivere, energia dai giovani. In questo Paese, il nemico numero uno è l’Aids: sono oltre due milioni i malati adulti, mezzo milione i bambini resi orfani dal virus e vittime di discriminazioni sociali, oltre ai circa 30.000 neonati che ogni anno rischiano di esser contagiati dalle madri.

Corruzione, siccità, epidemie

La forte corruzione delle istituzioni, la crescita della popolazione, la siccità degli ultimi anni e le inondazioni successive hanno contribuito ad aumentare maggiormente il problema dell’Aids che continua implacabile a devastare il Paese. Qui è stato registrato uno dei più alti tassi di incidenza del virus: il 15% dei giovani sono contagiati e il 70% di essi è destinato a morire. A peggiorare le condizioni di salute, la grave crisi alimentare che si è acuita negli ultimi anni a causa della siccità che ha impoverito il suolo impedendo quasi del tutto le attività agricole. I corpi indeboliti dalla carestia sono quelli più facilmente preda di malattie: l’Aids, su tutti, si fa strada facilmente negli organismi più debilitati dalle privazioni, approfittando dell’abbassamento delle difese immunitarie conseguenza della fame. Lottare contro l’immunodeficienza acquisita diventa impossibile per chi è stremato dalla fatica di un terreno improduttivo e a morire sono soprattutto gli uomini, la generazione di mezzo, che nelle famiglie sono i primi a smettere di mangiare.

VOGLIO DIRE SOLTANTO DI AVERE NON SOLO UN PENSIERO PER QUESTA GENTE, GRAZIE.

Gli psichiatri negli Stati Uniti stanno abbandonando il lettino di analisi a favore del blocchetto per le ricette.

Lo afferma uno studio pubblicato ieri, secondo cui sempre meno psichiatri offrono psicoterapia.

Secondo gli Archivi di psichiatria generale negli Usa, si accorcia la durata delle visite dallo psichiatra e aumenta invece l’attività di “gestione dei medicinali”, un cambiamento motivato dalla disponibilità di medicinali migliori per i disturbi psichici e dalle crescenti pressioni delle case di cura, che offrono maggiori incentivi finanziari per brevi visite in studio.

“Gli psichiatri guadagnano di più da tre visite da 15 minuti in cui prescrivono e gestiscono medicinali che da una seduta di psicoterapia da 45 minuti.

Diverse forme di psicoterapia, da sola o in combinazione a medicine, sono raccomandate per curare depressione, sindrome da stress post-traumatico, disturbi bipolari e altre patologie psichiche.

Ma i dati sulle visite psichiatriche dal 1996 al 2005, hanno rilevato un calo significativo nel numero di psichiatri che in studio offrivano psicoterapia, e solo per il 29% di visite in studio era compresa una psicoterapia nel 2004-5, mentre nel 1996-7 la percentuale era del 44%.

L’effetto maggiore è che i pazienti che necessitano di psicoterapia la devono ottenere da altri professionisti, se la ottengono del tutto.

“Se abbia o meno un impatto sulla cura del disturbo, non lo sappiamo davvero”. “Non credo che sia necessariamente dannoso, ma potrebbe non essere altrettanto efficace”.

Ogni mattina, aprendo i giornali, leggiamo di attentati terroristici,

torture, stragi, conflitti armati, in cui non si fa alcun caso alla vita umana ed

anzi si infierisce contro i civili e i combattenti nemici. Ed ogni mattina si leva

spontanea la domanda: ma allora tutti quei “codici” universali sui diritti

umani, tutti i principi giuridici e le convenzioni internazionali che traducono

quei ”codici” in diritto positivo, non servono a niente? Per rispondere al

nostro interrogativo, occorre riflettere sul fatto che i diritti umani hanno

un generoso desiderio di unifica e il mondo prescrivendo certe linee

direttrici

che tutte le strutture governative dovrebbero osservare. Essi

costituiscono il tentativo di indicare i valori (il rispetto della dignità della

persona umana) e i disvalori (la negazione di quella dignità) che tutti gli stati

dovrebbero prendere come criteri discriminanti nella loro azione. In una

parola: i diritti umani costituiscono il moderno tentativo di introdurre la

ragione nella storia del mondo, cercando di fissare dei canoni di condotta

generali, che dovrebbero valere per tutto il mondo.

E’ necessario dotare i minori di una identità certa. Se vogliamo ridurre il rischio che i minori scomparsi finiscano in mano a criminali o organizzazioni che li plagiano o li abusano per le più diverse attività criminali, non ultima la pedofilia, il mio suggerimento è dotiamo i minori, tutti i minori sopra i quattro-sei anni di età, italiani e stranieri si badi bene, di una carta d’identità elettronica dotata di dati biometrici come le impronte digitali o l’immagine dell’iride».


Quanti sono i minori scomparsi in Italia?
«Dal 1983 al 31 gennaio 2008 sono state ricevute 12.015 denunce di scomparsa relative a italiani e 19.445 relative a stranieri. La stragrande maggioranza (10.258 italiani e 11.482 stranieri) è stata ritrovata. Ma mancano all’appello ancora 1757 italiani e ben 7963 stranieri. Molti casi riguardano allontanamenti volontari, specie da istituti e comunità di soggetti che nel frattempo sono diventati maggiorenni e quindi hanno il diritto di non dare notizia di sé, o che non hanno famiglia o hanno una famiglia disgregata che non ci dà notizie del loro ritorno. Ma ci sono ancora casi aperti. Per quanto riguarda gli italiani, quelli scomparsi per vere e proprie azioni delittuose e ancora da ritrovare sono 13, altri 9 sono stati ritrovati cadavere. E’ un fenomeno preoccupante, in costante aumento».


Esclusi quelli sottratti da coniugi o conviventi, molti fuggono dagli istituti, dalle famiglie. Sono esposti, indifesi e finiscono dove capita. Si perdono. Finiscono per la strada. Molti finiscono vittime di persone senza scrupoli, se non di sette. O, molto spesso, sono preda della droga. Altri, specie quelli scappati da istituti, finiscono per tornare a delinquere. E le loro rischiano di essere vite bruciate».


Tanto può fare la scuola perché molti casi di abbandono volontario hanno come premessa l’abbandono scolastico, che può fare essere la spia di un disagio, e come tale andrebbe colto per tempo dagli educatori. E molto possono fare i servizi sociali, seguendo chi fa uso di droghe o ha disagi psicologici. E infatti una delle proposte è di migliorare il coordinamento tra le istituzioni. Ma la soluzione è in un ventaglio di interventi che prevede la creazione di una banca dati omogenea, ma anche di un sistema che attivi tutti i dispositivi elettronici come le telecamere cittadine, di banche e supermercati, e ancora preveda l’inserimento delle note di ricerca via radio sulle trasmittenti dei radiotaxi o sui baracchini dei camionisti, sui cellulari degli appartenenti alle associazioni di volontariato….


Abbiamo il sacrosanto dovere al rispetto della privacy ma avere i dati biometrici di un bambino scomparso può davvero essere uno strumento decisivo, è qualcosa a loro assoluta tutela e garanzia. Ricorda la vicenda di Denise Pipitone, la bambina scomparsa a Mazara nel 2004? Quante volte si è detto che la bambina era stata ritrovata e poi si è rimasti con un pugno di mosche in mano. Se avessimo avuto i suoi dati biometrici sarebbe stato facile risolvere con certezza i molti casi di presunto riconoscimento che ci sono stati. La mia è una riflessione da addetto ai lavori, che offro sommessamente al Parlamento. Pensateci.

Domanda molto importante, perché è giusto sapere cosa farebbero i medici oncologi – quelli che usano ogni giorno i chemioterapici su altre persone – se avessero loro un tumore.
Nel marzo del 2005 al Senato australiano è stata presentata una “Inchiesta sui servizi e sulle opzioni di trattamento di persone con cancro”, prodotta dal Cancer Information & Support Society, del St. Leonards di Sydney.
Secondo tale inchiesta, alcuni scienziati del McGill Cancer Center di Montreal in Canada, inviarono a 118 medici, esperti di cancro ai polmoni, un questionario per determinare quale grado di fiducia nutrissero nelle terapie da loro applicate, nel caso essi stessi avessero sviluppato la malattia.
Risposero 79 medici e 64 di loro non avrebbero acconsentito a sottoporsi ad un trattamento che contenesse Cisplatino (un chemioterapico molto utilizzato a base di platino). Mentre 58 dei 79 reputavano che tutte le terapie sperimentali in questione fossero inaccettabili a causa dell’inefficacia e dell’elevato grado di tossicità !
Un risultato eclatante: l’81% degli oncologi intervistati, in caso di tumore, non si farebbero somministrare un chemioterapico, mentre il 73% di loro reputano addirittura le “terapie sperimentali inaccettabili per l’elevato grado di tossicità”.
Anche se il numero di oncologi intervistati non è molto elevato, ognuno tragga le proprie conclusioni…

Considerando i due principali strumenti terapeutici nelle mani degli oncologi (chemio e radio), vediamo il costo di un tumore oggi in Italia.
Attualmente sappiamo esserci in Italia 1,7 milioni di ammalati e oltre 270.000 nuovi malati ogni anno (in America ogni anno i nuovi malati di cancro sono 1.372.910 .
La conclusione, senza entrare troppo nel dettaglio, è la seguente: il tumore in Italia (solamente tra chemio e radio, escludendo quindi chirurgia, costi di degenza, farmaci vari, apparato medico e infermieristico, i soldi fagocitati dalle industrie per la ricerca, ecc.) è indubbiamente una delle patologie più costose, non solo in termini di vite umane, ma soprattutto dal punto di vista economico.
Un qualsiasi tumore trattato con chemio e radioterapia (ad esclusione della chirurgia i cui costi sono paragonabili a quelli della chemioterapia), costa al Sistema sanitario nazionale svariate centinaia di migliaia di euro.
Un solo paziente oncologico. Sembra impossibile, ma è proprio così.
Una testimonianza esemplare è stata pubblicata dal settimanale “Gente” poco tempo fa.
Si tratta della vicenda di Gennaro De Stefano, un uomo normalissimo, che nel suo “Diario di un malato di cancro” ha provato a comporre la “lista della spesa” per la sua malattia.
Dopo aver consultato medici e fotocopiato le fustelle dei farmaci, ha messo insieme tutte queste informazioni.
Il suo calvario è iniziato con due interventi chirurgici (biopsia più operazione alla vescica) e una degenza di 22 giorni, per un totale di 30.000 euro
Il primo ciclo di chemio è costato 9.000 euro e 1.500 euro spesi per ogni TAC effettuata (ne ha fatte oltre 20).
«Un ciclo completo di cocktail chemioterapici partiva da alcune migliaia di euro per arrivare anche a 50 mila euro al mese per ogni paziente».
«Durante la chemioterapia, che, com’è noto, fa abbassare i globuli bianchi e quelli rossi (tralasciando la quantità impressionante di medicinali di sostegno per lo stomaco, l’intestino, la fatica, la nausea, il vomito e via cantando), occorre sottoporsi a cure ormonali che aiutino la crescita dei globuli bianchi. Di solito si fanno tre o quattro iniezioni che costano una 1.500 euro, le altre 150 euro ognuna. Arriva poi l’Epo, l’ormone diventato famoso come doping dei ciclisti, che costa dai 500 ai 1.000 euro a iniezione. Di queste bombe ne avrò fatte, fino a oggi, una quarantina».

Ha dovuto eseguire la radioterapia (6.000 euro); un nuovo intervento chirurgico per alcune metastasi (9.000 euro); di nuovo radioterapia, ecc.
Risultato: la Sanità pubblica ha pagato per il sig. De Gennaro, circa 200.000 euro.
Questo che avete appena letto, purtroppo, è l’iter seguito dalla stragrande maggioranza dei malati oncologici.
Moltiplicate questa cifra per il numero dei malati vecchi e nuovi, e capirete dal risultato che forse per qualcuno – e dico forse – non c’è convenienza nel trovare la soluzione definitiva ad una patologia che sviluppa centinaia di miliardi di euro ogni anno in Italia.
Ogni anno la “lobbies del cancro” – solamente con i nuovi ammalati (270.000 persone), e supponendo che tutti entrino nei percorsi terapeutici – movimenta una cifra superiore a 54.000.000.000 di euro.
Cinquantaquattro miliardi di euro ogni anno per un trattamento oncologico.

Se a questi ci aggiungiamo tutte le persone ammalate di cancro oggi in Italia (1 milione e 700 mila), che ripetono i trattamenti, che necessitano di trapianto di midollo, che muoiono nonostante, o per colpa delle terapie, ecc., tale cifra, come detto prima, raggiungerà i centinaia di miliardi di euro.
Pensate all’industria della morte, meglio nota come “imprese funebri”.
Ogni anno sono 162.000 le persone che muoiono per cancro in Italia (dati Istat).
I costi per un servizio funebre privato (pagato dalle famiglie) vanno da un minimo di 2.155 euro (Roma) a un massimo di 3.575 euro (Milano) a persona. Facendo una media più che ragionevole di 3000 euro…il ‘lutto per cancro’ (funerale, epigrafi, fiori, trasporto, organizzazione) sottrae alla società 486.000.000 di euro. Tutti gli anni inesorabilmente.
Pensate nel mondo intero…

Dall’alleggerimento all’inquinamento:

L’esercito americano vuole alleggerire L’impronta ecologica delle operazioni militari in Iraq e in patria.

L’apparato militare americano probabilmente è il maggior consumatore mondiale di prodotti petroliferii. Quindi inquina, ma soprattutto paga. Dice che vuole inquinare meno. Sospetto che voglia spendere meno.

Va da sè: di una guerra sono importanti innanzitutto le sofferenze umane. Ma non tocca a questo blog parlarne. E allora, vediamo il resto…

L’esercito americano dice di voler ridurre del 30% le emissioni di anidride carbonica entro il 2015. Tuttavia i carburanti sintetici verso cui sta orientandosi l’aviazione costano di meno, ma inquinano di più.

A partire dalla base di Fort Carson in Colorado si vogliono conteggiare le emissioni di anidride carbonica, e dunque l’uso di combustibili fossili. Fort Carson ogni anno manda nell’atmosfera 205 tonnellate di anidride carbonica: quanto una piccola dittà di 25.000 abitanti.

L’esercito americano in Iraq ora si approvvigiona grazie a convogli che trasportano rifornimenti vari, per la maggior parte gasolio, da molto lontano.

Ora si vuol tagliare l’aria condizionata, che consuma l’85% dell’elettricità prodotta dai generatori a gasolio. Le tende saranno isolate dal punto di vista termico coprendole con schiuma.

I carri armati saranno più leggeri per consumare meno. Compariranno veicoli ibridi. Se saranno a biocarburante, dubito che diminuiranno le emissioni e che si accorcerà la catena di rifornimento…

l prezzo del petrolio che flirta con i 140 dollari al barile provoca anche a loro qualche noia. Ogni dollaro di rincaro corrisponde ad una maggior spesa pari a 130 milioni di dollari.

Come se la cavano? La strategia di fondo è aumentare sensibilmente l’uso di carburanti sintetici. Che hanno un difetto: emissioni di anidride carbonica – il gas dell’effetto serra – praticamente doppie rispetto ai carburanti tradizionali.

L’apparato militare americano ha speso nel 2007 12,6 miliardi di dollari in benzina, gasolio e carburante per aerei, Contribuiscono, ovviamente, anche le operazioni militari in Iraq e Afghanistan. Per quest’anno è stato necessario chiedere di aumentare il budget.

Se il petrolio costa suppergiù 130 dollari al barile, i 13,6 miliardi di dollari spesi l’anno scorso dall’apparato militare americano corrispondono a quasi 100 milioni di barili. Cioè molto più di quanto il mondo intero ne consuma in un giorno. Lo so, l’esercito americano non compra barili di greggio ma litri (o galloni) di combustibile. Però mi sembra che possa rendere l’idea.

Non provo neanche ad elencare tutto ciò che si potrebbe fare per la crisi alimentare e le energie rinnovabili con quei soldi.

L’esercito americano afferma che sta facendo fronte ai rincari soltanto razionalizzando l’uso dei mezzi, ma qualche preoccupazione, ormai, ce l’hanno anche loro.

Così l’obiettivo è utilizzare quanto più possibile a carburante sintetico. Cioè prodotto a partire dal carbone o dal metano.

Attualmente il carburante sintetico produce meno emissioni di andride carbonica rispetto a quello tradizionale. Però il processo per ottenere carburante sintetico dal carbone quasi raddoppia le emissioni del carburante “tradizionale” che esso rimpiazza.

L’aviazione americana spera di arrivare entro cinque anni a sostituire metà del carburante con quello sintetico. Non è una bella notizia per il clima ed il pianeta.

CRIMINI DI GUERRA.

Un crimine di guerra è una violazione punibile, a norma delle leggi e dei trattati internazionali, relativa al diritto bellico da parte di una o più persone, militari o civili. Ogni singola violazione delle leggi di guerra costituisce un crimine di guerra.

I crimini di guerra comprendono (nella maggioranza delle interpretazioni) le violazioni delle protezioni stabilite dalle leggi di guerra, ed anche il mancato rispetto delle norme e delle procedure di combattimento, come ad esempio l’attaccare quanti espongono una bandiera bianca indicante una tregua o l’uso truffaldino della stessa bandiera bianca per dissimulare la condizione bellica, preparare e dare inizio ad un attacco. Viene tutelato anche l’uso dei segni distintivi di croce rossa o della Mezzaluna Rossa e degli altri segni protettivi.

Comprende anche gli altri atti contrari al diritto internazionale umanitario quali il maltrattamento dei prigioniero di guerra o dei civili. A volte i crimini di guerra, in senso esteso, sono episodi di omicidio di massa, come esemplificativamente i bombardamenti a tappeto e il genocido sebbene tali azioni siano coperte dalle convenzioni internazionali in quanto crimini contro l’umanità.

MA QUESTA, NON E’ UMANITA’!!!!!!!!!!!!!!!

UN MIO PENSIERO

Relazioni pacifiche e sistematiche fra gli Stati richiedono qualcosa di più del
ripudio della forza alle armi. Richiedono l’elaborazione di principi che controllino
le cause dei conflitti armati. Richiedono, inoltre, un sistema internazionale in
grado di promuovere condizioni di effettiva stabilità all’interno degli Stati, senza
le quali non può sussistere alcun ordine internazionale.

Se volete visitate: http://www.bedo.it/pacifico