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Archive for luglio 2008

UN MIO PENSIERO

Relazioni pacifiche e sistematiche fra gli Stati richiedono qualcosa di più del
ripudio della forza alle armi. Richiedono l’elaborazione di principi che controllino
le cause dei conflitti armati. Richiedono, inoltre, un sistema internazionale in
grado di promuovere condizioni di effettiva stabilità all’interno degli Stati, senza
le quali non può sussistere alcun ordine internazionale.

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L’AGGRESSIVITA’ FA PARTE DELLA NATURA UMANA, MA LA VIOLENZA PUO’ ESSERE TENUTA SOTTO CONTROLLO FIN DALL’INFANZIA. CHE SI TRATTI DI RAGAZZINI CRESCIUTI IN QUARTIERI DEGRADATI, O IN FAMIGLIE PROBLEMATICHE, O CON DIFFICOLTA’ DI APPRENDIMENTO, LA SOCIETA’ INTERA NON PUO’ IGNORARLI PERCHE’ DIETRO LA LORO VIOLENZA C’E’ SEMPRE UN MESSAGGIO DA DECIFRARE. AGLI ADULTI IL COMPITO DI LEGGERE E TRADURRE QUESTI SEGNALI “IN CODICE”. E, MISSIONE ANCORA PIU’ ARDUA, DI TROVARE RISPOSTE E SOLUZIONI.

COME SALVARE I BAMBINI, AGGRESSORI E AGGREDITI ? NELLA RISCOPERTA E LA VALORIZZAZIONE DELLO SPORT, LA MUSICA, L’ARTE, COME RISORSE PER STIMOLARE NEI BAMBINI L’AMORE DI SE’, IL PIACERE DELLA SFIDA, IL RISPETTO PER GLI ALTRI. MA PUNENDO QUANDO E’ INDISPENSABILE, CON AUTOREVOLEZZA , ACCETTANDO LA SCOMMESSA PIU’ IMPORTANTE CHE GLI ADULTI SONO CHIAMATI AD AFFRONTARE. DIMOSTRARE ALLE GIOVANI GENERAZIONI CHE IL MONDO NON APPARTIENE AI VIOLENTI. E’ IL SOLITO MODO PER AIUTARE TUTTIQUANTI, VITTIME E BULLIO, A DIVENTARE CITTADINI DEL FUTURO, E PER DARE A QUESTI BAMBINI IL REGALO PIU’ PREZIOSO CHE CI SIA: UN IDEALE DI BELLEZZA, DI ARMONIA E DI GIUSTIZIA IN CUI CREDERE.

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Ogni tanto, rinasce la famosa leggenda, “ma il fotovoltaico occuperebbe troppo spazio se lo dovessimo utilizzare per sostituire il petrolio.”

Bene, guardate la figura qui sopra, Il quadrato tratteggiato che vedete nel mezzo dell’Arabia Saudita, se tappezzato di pannelli fotovoltaici al 20% di efficienza, basterebbe per fornire energia in quantità pari a quelle estrapolate per la produzione mondiale totale di energia elettrica nel 2020. Il 20% di efficienza è perfettamente possibile; già oggi sono in commercio celle con il 18.5% di efficienza. Ma anche se volete rimanere alle efficienze attuali, intorno al 12%, beh, allargate il quadratino in proporzione. Cambia qualcosa?

Il quadratino nero è 1/12 del quadrato tratteggiato. Dodici di quei quadratini, sparpagliati nei deserti, basterebbero per fornire tutta l’energia elettrica necessaria al mondo nel 2020. Nella pratica, dobbiamo pensare a sparpagliare i pannelli per tutto il mondo; non avrebbe senso concentrarli tutti in quel modo. Per fare una cosa del genere ci vorrà molto tempo e molti soldi, ma una cosa è certa: di posto per il fotovoltaico (o altri tipi di collettori solari) ce n’è in abbondanza.

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HELP HELP

Più di 14 milioni di persone hanno bisogno di aiuti di cibo nel Corno d’Africa, l’Onu chiede con urgenza 400 milioni di $ per far fronte alla fame in queste zone.
La più colpita è l’Etiopia con 10 milioni di persone, il 12% della popolazione, che necessitano di generi alimentari primari. Seguono la Somalia, Eritrea, Djibouti, regione settentrionale del Kenya e l’Uganda.
Gli eventi economici esterni all’Africa, ossia l’alto prezzo dei generi alimentari di base e del petrolio, hanno inasprito ancor di più la crisi in questa regione, già colpita dalla mancanza di acqua.
L’appello fatto dall’Onu è rivolto a tutti i paesi membri e alle Ong che operano sul campo per far fronte a questa crisi che se non risolta potrebbe provocare la morte di milioni di persone, per la maggior parte donne e bambini.

Visitate: http://aliceforchildren.myblog.it/archive/2008/07/index.html

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Smettiamola di stare a guardare, troppa indiffarenza in questo mondo. Si premeditano truffe, omicidi, rapimenti, stupri, atti terroristi, ecc. Tutto questo sotto i nostri occhi, smettiamola di far finta di non vedere e di non sentire. Non dobbiamo rimanere indifferenti a ati che non giovano alla crescita del mondo, anzi fanno si che vada sempre più in declino. La mafia, la camorra e tutte le altre associazioni terroristiche devono essere combattute da noi con tutte le nostre forze. Non si può rimanere indifferenti davanti a popolazioni che muoiono di fame, di malattie o avvolte vittime di soprusi e violenze, quando a pochi km di distanza regna il troppo benessere.

Ghiro11 Roma, 23/07/2008

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Un muro verde – alberi e non solo – per proteggere dalla desertificazione la natura e l’agricoltura nel Sahel. Proposta tre anni fa, l’idea sta finalmente decollando.

Si tratta di creare una fascia verde lunga 7.000 chilometri e larga 15 che attraversa tutta l’Africa, dalla Mauritania a Gibuti.

Una prima parte del programma è stata appena finanziata, i primi alberi dovrebbero essere piantati a settembre.

Il Sahel è la zona ai margini meridionali del deserto del Sahara. Attraversa l’Africa dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso.

Nel Sahel la desertificazione avanza a passi da gigante. Cambiamenti climatici, pessima gestione del territorio: l’ambiente è diventato sterile e degradato, milioni di persone hanno sete e ha fame.

La prima parte del progetto per la fascia verde, quella appena varata, riguarda la parte occidentale del Sahel. E’ stata appena votata dal Cen-Sad, la comunità del Paesi del Sahel e del Sahara.

Nel giro di due mesi, pare, arriveranno i finanziamenti e il vialibera definitivo anche per la parte orientale. Il costo complessivo è di 3 milioni di dollari.

Si tratta di piantare alberi, ma non solo. Sono previsti anche interventi per il ripristino delle risorse naturali, ed eventualmente a favore della pesca e dell’allevamento del bestiame.

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E’ arrivato lo stop ai tentativi di modificare artificialmente il clima.

E’ l’unico fatto concreto emerso nei colloqui internazionali di Bonn sulla biodiversità.

Però la Climos sta rastrellando fior fior di quattrini dagli investitori pronti a scommettere sui suoi progetti. Insomma, la situazione è complicata.

Intanto la buona notizia. Viene dalla nona conferenza dell’Onu sulla biodiversità appena terminata in Germania.

Quasi 200 Paesi si sono accordati per sospendere i progetti che vogliono contrastare i mutamenti climatici seminando negli oceani limatura di ferro o altre sostanze nutrienti che favoriscono la fioritura delle alghe.

In teoria, ma in teoria soltanto, le alghe dovrebbero assorbire parte dell’anidride carbonica, il gas dell’effetto serra che provoca il riscaldamento globale. In pratica non si sa cosa potrebbe accadere, e gli effetti potrebbero essere addirittura opposti a quelli sperati.

Negli Stati Uniti, tuttavia, la Climos ha già raccolto diversi milioni di dollari per il suo esperimenti climatici. Li versano imprese desiderose di sciacquarsi la coscienza ambientale dopo aver inquinato.

E’ il meccanismo dei “carbon credits”: dopo aver danneggiato il pianeta, pago qualcun altro perchè gli faccia del bene. E contemporaneamente ci guadagni su.

Resta da vedere cosa ne sarà, dei soldi raccolti dalla Climos. La storia è lastricata di buone intenzioni e sagge risoluzioni dell’Onu rimaste lettera morta a causa degli interessi in gioco.

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Bambini delle scuole costretti dallo Stato a passare dalle aule ai campi. No, non ci avrei mai pensato vedendo “Made in Bangladesh” sulle etichette di tanti abiti a buon mercato. Il mio pensiero correva piuttosto a orari massacranti e misere paghe: questo, insomma. Ma purtroppo c’è ben altro. Il cotone lavorato in Bangladesh viene dall’Uzbekistan, che per irrigare i campi svuota di acque i fiumi e il lago d’Aral. Soprattutto, lo Stato costringe decine di migliaia di bambini delle scuole ad andare a raccoglierlo. Pensiamoci, per favore, quando si tratta di comprare una maglietta o un paio di jeans.

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VOGLIAMO I GIAMBURRASCA SENZA PSICOFARMACI

Psicofarmaci ai bambini italiani, è uno scandalo.

In cinque anni in Italia le prescrizioni sono aumentate del 280 per cento. Negli Usa, la metà.
E ora, addirittura, si aprono 82 Centri in tutta Italia per somministrare psicofarmaci ai bambini iperattivi.

Psicofarmaci ai bambini italiani, è uno scandalo. Troppi e somministrati con troppa leggerezza. In cinque anni in Italia la prescrizione di psicofarmaci ai bambini è aumentata addirittura del 280 per cento. Negli Usa, dove i bambini in terapia sono più di undici milioni, l’aumento è stato del 150 per cento.

Ma gli scandali non finiscono qui. Si stanno aprendo in Italia, su tutto il Territorio 82 Centri per la somministrazione di psicofarmaci ai bambini “iperattivi”. E pensare che le Autorità di controllo sanitario  avevano garantito di istituire un solo Centro di eccellenza per regione in modo da prevenire gli abusi.  E il rosario degli scandali continua: l’Emea, l’Agenzia Europea per i farmaci, ha autorizzato la somministrazione del Prozac, la discussa e potente “pillola della felicità”, ai bambini già da otto anni dopo appena 4-6 sedute di psicoterapia senza risultati. Di scandalo, in scandalo: le scuole non hanno risorse per affrontare il problema dei “bambini-giamburrasca” e così si sono già registrati i primi casi di alunni allontanati da scuola.

Chi all’EMEA ha deciso, è incompetente non solo nella conoscenza della psicoterapia ma soprattutto dei bambini. In quattro-sei settimane nessuno può dichiarare fallita una psicoterapia, che è una strada seria da percorrere. Dietro ai numeri ci sono i bambini e le loro famiglie. E sono numeri grandi, drammatici. Sono 30mila i bambini italiani che già oggi assumono psicofarmaci. E se oggi sono 30mila i bambini italiani in terapia con psicofarmaci potrebbero presto diventare oltre 700mila e questo perché, secondo dati del Ministero della Salute, questo è il numero dei bambini che sarebbero affetti da disturbi psichici.

Le troppe prescrizioni di psicofarmaci ai bambini sono dovute a diagnosi non corrette formulate da medici di medicina generale e da pediatri che non hanno il necessario bagaglio di informazioni per compiere un passo così importante come quello di somministrare uno psicofarmaco ad un bambino. Ma anche a diagnosi formulate da medici competenti come neuropsichiatri infantili e psichiatri adolescenziali, che ritengono che alla base del disturbo dei bambini ci sia un fattore biologico curabile quindi solo con i farmaci“.

GLI ITALIANI DICONO NO AGLI PSICOFARMACI AI BAMBINI
Un sondaggio svolto fra 1600 italiani dai 16 ai 65 anni di età chiedendo il loro parere sull’uso degli psicofarmaci ai bambini. Il 97 per cento ha detto “no” all’uso degli psicofarmaci per risolvere i disagi psichici dei minori. Il 97,1 per cento ha detto che le diagnosi fatte oggi con i questionari non sono affidabili.

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Ogni anno 8 milioni di persone muoiono per la mancanza di acqua. L’ultima siccità ha colpito le popolazioni del Corno d’Africa, le prossime potrebbero innescare guerre sanguinose nel Sahel.
Nel frattempo gli scienziati lanciano l’allarme:
fiumi e laghi si stanno prosciugando

La siccità che ha colpito le regioni rurali del Niger alla fine del 2004 ha costretto madri e figli a fuggire dal villaggio di Tubukut, dove le piantagioni sopravvissute alla mancanza di piogge sono state distrutte e divorate da sciami di migliaia di cavallette. E dove i pozzi d’acqua marrone e fetida hanno causato un numero insolitamente alto di morti per dissenteria tra i bambini sotto i cinque anni.

Nel 2005, un problema simile a quello avvenuto pochi mesi prima in Niger si è verificato in Malawi e più recentemente in Kenya e Somalia, dove la siccità ha causato gravi crisi alimentari tra la popolazione rurale, allarmando le agenzie e le organizzazioni umanitarie. E nessuno menziona le scarse precipitazioni che negli ultimi mesi hanno colpito le comunità pastorali di Gibuti, dove si parla di numerosi capi di bestiame morti e di centinaia di persone che hanno cominciato ad affollare le periferie della capitale.

Previsioni catastrofiche

Oggi, a soli sette anni dal fatidico 2015, data prefissata dalle Nazioni Unite per raggiungere gli Obiettivi del Millennio e sconfiggere la povertà, sul continente africano resta l’ombra di un problema che, giorno dopo giorno, non accenna affatto a migliorare: l’acqua.

Riscaldamento globale, cambiamenti climatici, impennate demografiche, guerre, speculazione, fallimento delle politiche dello sviluppo e impasse legislative transnazionali sono solo alcuni dei motivi che non fanno presagire nulla di buono. Secondo il centro di ricerca Global Water Policy Project, organizzazione che promuove un uso sostenibile dell’oro blu nel mondo, oggi circa il 36% della popolazione africana non ha accesso ad acqua potabile.

Una percentuale già molto alta di per sé, ma che stando al Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (Undp), potrebbe peggiorare già per la prossima generazione: entro il 2025 un africano su due vivrà in Paesi con problemi di riduzione (meno di 1500 m3 di acqua all’anno) o di scarsità (meno di 1000 m3 cubi all’anno) d’acqua. Questo fenomeno esiste già in quattordici Paesi africani, ai quali se ne dovrebbero aggiungere nove nei prossimi due decenni.

Sempre più caldo

Il consumo d’acqua medio di un’abitazione africana è passato dai 30 litri giornalieri di quarant’anni fa, ai 25 litri di oggi. Cioè quasi trenta volte meno di quanto consuma una famiglia negli Usa. E potrebbe diminuire ulteriormente, se la lunga serie di fattori negativi che sembra essersi scatenata contro l’utilizzo dell’acqua da parte delle popolazioni africane dovesse continuare.

Primo fra tutti c’è un problema di clima.

Il Ciad prosciugato

Dalla fine degli anni ’60 il lago Ciad, le cui acque sono condivise da Nigeria, Camerun, Ciad e Niger, sta vivendo uno dei periodi più drammatici della sua storia. In quasi quarant’anni le scarse precipitazioni hanno fatto sì che il bacino sul quale questi Paesi si affacciano si restringesse del 95%, ossia di ben 25mila chilometri quadrati.

Un disastro simile a quello che sta avvenendo in Asia Centrale alle acque del lago d’Aral, tra Kazakistan e Uzbekistan, anche se laggiù la responsabilità dell’uomo è molto più grande.

«Per risolvere il problema potremmo deviare l’acqua dal fiume Congo, ma si tratterebbe di un’opera colossale che richiederebbe moltissimo tempo e soldi. Per lavorarci avremmo bisogno di più dati e numeri che nessuno calcola. Questo lago rappresenta oggi uno dei grandi fallimenti delle nostre politiche sull’acqua».

Una diga dannata

Alcune centinaia di chilometri più a sud-est, nel lago Vittoria, due dati inquietanti sembrano preoccupare non poco gli esperti e le comunità locali. Il primo lo ha fornito Daniel Kull, già esperto di risorse idriche per le Nazioni Unite e ora ricercatore presso la lobby ambientalista International Rivers Network.

Scrive che le acque dell’“occhio blu” del continente africano si sarebbero abbassate di quasi mezzo metro più del previsto, a causa della presenza della nuova diga di Owen Falls, costruita da ingegneri inglesi, che prevede il passaggio di una quantità d’acqua compresa tra i 300 e i 1700 metri cubi al secondo. Ma nel 2002 è stato ultimato il complesso idroelettrico di Kira, che ha causato un’altra fuoriuscita, nonostante il governo ugandese attribuisca il calo delle acque del lago alla siccità. Secondo Kull, tuttavia, la presenza della diga ha almeno il 50% di responsabilità.

L’abbassamento delle acque del fiume ha causato problemi alle centrali idroelettriche e a molte case nella capitale Kampala è stata tagliata l’elettricità per periodi più lunghi del solito (fino a 5 ore al giorno). Come se non bastasse, il lago Vittoria è diventato la toilette dell’Africa Orientale, con un alto tasso di inquinamento, causa della diffusione di malattie che mettono a repentaglio la salute delle popolazioni locali.

Le mani sul Nilo

Il problema è che il lago Vittoria dà acqua al Nilo – uno dei maggiori corsi fluviali del mondo – da cui dipendono 160 milioni di persone. Sono ormai decenni che si dibatte su un utilizzo più equo delle acque di questo fiume il cui bacino interessa un numero impressionante di Paesi: Burundi, Ruanda, Uganda, Tanzania, Repubblica Democratica del Congo, Kenya, Etiopia, Sudan ed Egitto.

Ma è davvero ipotizzabile uno scenario così apocalittico in Africa? Per certi versi, crisi diplomatiche e conflitti legati all’oro blu stanno già avvenendo, anche se su scala minore.

Guerre per l’acqua

Basta guardare ai fatti di cronaca che nel 2005 si sono verificati nella Rift Valley, in Kenya: è qui che in gennaio gli scontri tra appartenenti alle popolazioni masai e kikuyu hanno causato decine di morti nel distretto di Narok. Oggetto della contesa il fiume Ewaso Kedong, che alcuni Kikuyu avrebbero deviato per irrigare i propri campi.

Una disputa legata anche a questioni territoriali: negli anni che hanno seguito l’indipendenza del Kenya, i Masai sono stati relegati in una piccola parte di quella che una volta era la loro vasta terra. Ma i corsi d’acqua sono stati anche fonti di scaramucce diplomatiche. Come il già citato Nilo, ma anche una piccola e insignificante isoletta, Sedudu/ Kasili, un lembo di terra perso tra le correnti del fiume Chobe, tra Botswana e Namibia. Entrambi i Paesi ne hanno rivendicato la sovranità e si sono addirittura appellati al tribunale dell’Aia nel 1996, dopo avere sfiorato lo scontro armato. Solo al termine di lunghe consultazioni, la corte ha deciso che apparteneva al Botswana.

L’agonia del Niger

L’ipotesi di Boutros Ghali è avvalorata dal fatto che più dei due terzi dei 60 bacini nel continente sono divisi da più di un Paese, fornendo un elemento di contrasto e di divisione che potrebbe diventare reale con l’esplosione demografica. I nove Paesi attraversati dal fiume Niger, in Africa Occidentale, hanno firmato la cosiddetta Dichiarazione di Parigi, con la quale si impegnano a consultarsi a vicenda prima di dar vita a qualsiasi tipo di lavoro di infrastruttura che possa alterare il flusso del fiume. Ma dalle acque del Niger dipendono 100 milioni di persone, che entro il 2020 potrebbero raddoppiare. Cosa si farà, allora? La questione si complica quando ci si mette di mezzo l’inquinamento.

Ne sanno qualcosa i pescatori della regione del delta dello stesso fiume Niger, negli stati sudorientali della Nigeria, che da quasi 50 anni vedono la propria unica fonte di sostentamento avvelenata dai lavori di estrazione di petrolio delle multinazionali nella regione. D’altronde l’oro nero fa più gola dell’oro blu. Ma l’inquinamento del fiume e delle lagune nella zona (i cui danni irreparabili non sono mai stati risarciti alla popolazione locale) è uno dei motivi per cui alcuni gruppi estremisti hanno ingaggiato una vera e propria guerra contro il governo nigeriano.

La privatizzazione

Al di là di questi numerosi casi che delineano gli immensi problemi idrici del continente, per molti cittadini africani quella dell’acqua è una costante incertezza affrontata con una quotidiana rassegnazione. Tenere in casa una scorta d’acqua per sopperire a intere giornate con i rubinetti a secco è più un dovere che una scelta per gli abitanti delle capitali – da Monrovia a Niamey, da N’Djamena a Harare -, figurarsi nei centri abitati o nei villaggi, dove spesso occorre camminare chilometri con i secchi in testa per l’approvvigionamento giornaliero.

In altre parole non è corretto accusare sempre il clima e le società occidentali: la sete dell’Africa dipende anche dai politici locali. Che annegano nella corruzione e nel malgoverno.

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